C’è quest’aria sporca
e rumore di nausea
e auto, auto, senza fine.
C’è un cielo coperto,
un confine grigio marcio,
un assordante inutilità.
Nel bus schiaccio e strofino
il corpo su altri corpi,
rigidi e spettrali e perfetti.
Brusio invasivo ai timpani,
bocche brutte invitanti,
eruttano volgarmente il generico.
E’ il codice morto
di maestra tivù, necessaria e
sconcia puttana di famiglia.
Ad un tratto c’è silenzio,
nessuno lo sente né lo accoglie,
dura solo un attimo ma è eterno.
Così m’acquieto e accetto
questo giorno obliquo,
questo male al petto
che passerà mesto e indifferente.
Restano i dubbi,
di un vivere inutile,
lontano dall’origine,
dalla dignità e dall’amore.
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